Commissione donna di ASSD nasce per dare voce al punto di vista femminile nello sguardo alla sanità digitale, ma non solo, al fine di aumentare la consapevolezza dei problemi legati al genere con l’obiettivo di ridurne il divario anche nell’ambito della sanità digitale per tutti gli attori coinvolti: pazienti, operatori sanitari, operatori tecnici, caregiver.
Diventa pertanto per noi naturale appoggiare l’attività sociale e civile di chi cerca di eliminare le disparità di opportunità e trattamento delle minoranze e non solo di genere.
Le minoranze per orientamento sessuale, per identità di genere o per la diversità del corpo alla nascita o per il comportamento di genere, risentono ancora di discriminazione, consapevole o no, in ambiente sanitario. Dalla semplice mancanza di una anagrafica inclusiva al momento dell’accesso ai servizi sanitari, all’uso di terminologie inappropriate piuttosto che un linguaggio inclusivo, fino alla scarsità nella raccolta di dati epidemiologici che rendono insufficienti i dati disponibili per capire fino a che punto l’orientamento sessuale è un determinante sociale della salute.
La formazione professionale in sanità è ancora permeata da un approccio etero normativo; una visione del mondo che considera solo l’eterosessualità̀ dando per scontato che tutte le persone lo siano, è alla base di forme di discriminazione spesso inconsapevole degli orientamenti sessuali diversi da quello eterosessuale. Tale atteggiamento ̀compromette l’accesso ai servizi di chi non si riconosce nell’eteronormatività; può portare a decidere di interrompere cure, e trattamenti; è infatti frequente l’autoesclusione della cura a causa sia delle esperienze di discriminazione ma anche per mancanza di consapevolezza nei confronti dei propri specifici bisogni (es. popolazione transgender ha difficoltà ad accedere agli screening oncologici, il 46% si sente discriminato e solo il 20% delle persone transgender assegnate femmine alla nascita esegue il pap test). Sono necessari processi di abbattimento del pregiudizio che si ripercuote anche relazione professionista sanitario-persona assistita in entrambe le direzioni della relazione. Queste difficoltà presenti nella sanità non vanno replicate nella sua declinazione digitale. Se è fondamentale accelerare lo sviluppo e l’adozione di soluzioni sanitarie digitali incentrate sulla persona queste devono essere anche personalizzate, adeguate, accessibili a tutti per promuovere salute e benessere. Gli algoritmi di intelligenza artificiale che sono alla base dei sistemi esperti o di quelli di machine learning devono essere allenati su data base inclusivi per evitare che si generino bias legati alla sotto-rappresentazione di una parte di popolazione. Sono numerosi i bias nati dalla sotto rappresentazione nella banche dati di dati su donne. Se questo sottorappresentazione nel campo della ricerca medica è presente per la popolazione femminile pensiamo cosa può accadere per esempio a persone appartenenti a minoranze etniche. Gli algoritmi di intelligenza artificiale che si addestrano su dati prevalentemente derivanti da ricerche su uomini possono fornire risultati distorti e suggerimenti diagnostico-terapeutici errati. È necessario che anche la popolazione LGBT+(9% della popolazione italiana dichiarata) sia adeguatamente rappresentata nei data base. Necessario coinvolgerla nel processo di disegno, sviluppo e test delle app e degli strumenti di digital health. Un lavoro di co-creazione fondamentale per arrivare a sviluppare strumenti inclusivi per tutti.
(Fonte: ASSD)